Tools and Settings
Content
Questions and Tasks
“Il colpo di fulmine” di Jhumpa Lahiri, (In Other Words, Vintage Books, 2017, 12, 14, 16)
Nel 1994, quando con mia sorella decidiamo di regalarci un viaggio in Italia, scegliamo Firenze. Sto studiando, a Boston, l’architettura del Rinascimento: la Cappella Pazzi di Brunelleschi, la Biblioteca medicea-laurenziana di Michelangelo. Arriviamo a Firenze all’imbrunire, qualche giorno prima di Natale. Faccio la prima passeggiata al buio. Mi trovo in un luogo intimo, sobrio, gioioso. Negozi addobbati per la stagione. Stradine strette, stipate di gente. Alcune sembrano più corridoi che strade. Ci sono turisti come me e mia sorella, ma non tanti. Vedo le persone che vivono qui da sempre. Camminano in fretta, indifferenti ai palazzi. Attraversano le piazze senza fermarsi. Io sono venuta per una settimana, per vedere i palazzi, per ammirare le piazze, le chiese. Ma dall’inizio il mio rapporto con l’Italia è tanto uditivo quanto visuale. Benché ci siano poche macchine, la città ronza. Mi rendo conto di un rumore che mi piace, delle conversazioni, delle frasi, delle parole che sento ovunque vada. Come se tutta la città fosse un teatro che ospita un pubblico leggermente inquieto, che chiacchiera, prima dell’inizio di uno spettacolo. Sento l’eccitazione con cui i bambini si augurano buon Natale per strada. Sento una mattina all’albergo la tenerezza con cui la donna che pulisce la camera mi chiede: Avete dormito bene? Quando un signore dietro di me vorrebbe passare sul marciapiede, sento la lieve impazienza con cui mi domanda: Permesso? Non riesco a rispondere. Non sono capace di avere nessun dialogo. Ascolto. Quello che sento, nei negozi, nei ristoranti, desta una reazione istantanea, intensa, paradossale. L’italiano sembra già dentro di me e, al tempo stesso, del tutto esterno. Non sembra una lingua straniera, benché io sappia che lo è. Sembra, per quanto possa apparire strano, familiare. Riconosco qualche cosa, nonostante non capisca quasi nulla. Cosa riconosco? È bella, certo, ma non c’entra la bellezza. Sembra una lingua con cui devo avere una relazione. Sembra una persona che incontro un giorno per caso, con cui sento subito un legame, un affetto. Come se la conoscessi da anni, anche se c’è ancora tutto da scoprire. So che sarei insoddisfatta, incompleta, se non la imparassi. Mi rendo conto che esiste uno spazio dentro di me per farla stare comoda. Sento una connessione insieme a un distacco. Una vicinanza insieme a una lontananza. Quello che provo è qualcosa di fisico, di inspiegabile. Suscita una smania indiscreta, assurda. Una tensione squisita. Un colpo di fulmine. Trascorro la settimana a Firenze a due passi dalla casa di Dante. Un giorno, vado a vedere la piccola chiesa, Santa Margherita dei Cerchi, dove si trova la tomba di Beatrice. L’amata, l’ispirazione del poeta, sempre irraggiungibile. Un amore inappagato, segnato dalla distanza, dal silenzio. Non avrei un vero bisogno di conoscere questa lingua. Non vivo in Italia, non ho amici italiani. Ho solo il desiderio. Ma alla fine un desiderio non è altro che un bisogno folle. Come in tanti rapporti passionali, la mia infatuazione diventerà una devozione, un’ossessione. Ci sarà sempre qualcosa di squilibrato, di non corrisposto. Mi sono innamorata, ma ciò che amo resta indifferente. La lingua non avrà mai bisogno di me. Alla fine della settimana, dopo aver visto tanti palazzi, tanti affreschi, torno in America. Porto con me delle cartoline, dei regalini, per ricordare il viaggio. Eppure il ricordo più chiaro, più vivo, è qualcosa di immateriale. Quando penso all’Italia, sento di nuovo certe parole, certe frasi. Sento la loro mancanza. Questa mancanza mi spinge, pian piano, a imparare la lingua. Mi sento sia incalzata dal desiderio sia esitante, timida. Chiedo all’italiano, con una lieve impazienza: Permesso?
Nel 1994, quando con mia sorella decidiamo di regalarci un viaggio in Italia, scegliamo Firenze. Sto studiando, a Boston, l’architettura del Rinascimento: la Cappella Pazzi di Brunelleschi, la Biblioteca medicea-laurenziana di Michelangelo. Arriviamo a Firenze all’imbrunire, qualche giorno prima di Natale. Faccio la prima passeggiata al buio. Mi trovo in un luogo intimo, sobrio, gioioso. Negozi addobbati per la stagione. Stradine strette, stipate di gente. Alcune sembrano più corridoi che strade. Ci sono turisti come me e mia sorella, ma non tanti. Vedo le persone che vivono qui da sempre. Camminano in fretta, indifferenti ai palazzi. Attraversano le piazze senza fermarsi.
Io sono venuta per una settimana, per vedere i palazzi, per ammirare le piazze, le chiese. Ma dall’inizio il mio rapporto con l’Italia è tanto uditivo quanto visuale. Benché ci siano poche macchine, la città ronza. Mi rendo conto di un rumore che mi piace, delle conversazioni, delle frasi, delle parole che sento ovunque vada. Come se tutta la città fosse un teatro che ospita un pubblico leggermente inquieto, che chiacchiera, prima dell’inizio di uno spettacolo.
Sento l’eccitazione con cui i bambini si augurano buon Natale per strada. Sento una mattina all’albergo la tenerezza con cui la donna che pulisce la camera mi chiede: Avete dormito bene? Quando un signore dietro di me vorrebbe passare sul marciapiede, sento la lieve impazienza con cui mi domanda: Permesso?
Non riesco a rispondere. Non sono capace di avere nessun dialogo. Ascolto. Quello che sento, nei negozi, nei ristoranti, desta una reazione istantanea, intensa, paradossale. L’italiano sembra già dentro di me e, al tempo stesso, del tutto esterno. Non sembra una lingua straniera, benché io sappia che lo è. Sembra, per quanto possa apparire strano, familiare. Riconosco qualche cosa, nonostante non capisca quasi nulla.
Cosa riconosco? È bella, certo, ma non c’entra la bellezza. Sembra una lingua con cui devo avere una relazione. Sembra una persona che incontro un giorno per caso, con cui sento subito un legame, un affetto. Come se la conoscessi da anni, anche se c’è ancora tutto da scoprire. So che sarei insoddisfatta, incompleta, se non la imparassi. Mi rendo conto che esiste uno spazio dentro di me per farla stare comoda.
Sento una connessione insieme a un distacco. Una vicinanza insieme a una lontananza. Quello che provo è qualcosa di fisico, di inspiegabile. Suscita una smania indiscreta, assurda. Una tensione squisita. Un colpo di fulmine.
Trascorro la settimana a Firenze a due passi dalla casa di Dante. Un giorno, vado a vedere la piccola chiesa, Santa Margherita dei Cerchi, dove si trova la tomba di Beatrice. L’amata, l’ispirazione del poeta, sempre irraggiungibile. Un amore inappagato, segnato dalla distanza, dal silenzio.
Non avrei un vero bisogno di conoscere questa lingua. Non vivo in Italia, non ho amici italiani. Ho solo il desiderio. Ma alla fine un desiderio non è altro che un bisogno folle. Come in tanti rapporti passionali, la mia infatuazione diventerà una devozione, un’ossessione. Ci sarà sempre qualcosa di squilibrato, di non corrisposto. Mi sono innamorata, ma ciò che amo resta indifferente. La lingua non avrà mai bisogno di me.
Alla fine della settimana, dopo aver visto tanti palazzi, tanti affreschi, torno in America. Porto con me delle cartoline, dei regalini, per ricordare il viaggio. Eppure il ricordo più chiaro, più vivo, è qualcosa di immateriale. Quando penso all’Italia, sento di nuovo certe parole, certe frasi. Sento la loro mancanza. Questa mancanza mi spinge, pian piano, a imparare la lingua. Mi sento sia incalzata dal desiderio sia esitante, timida. Chiedo all’italiano, con una lieve impazienza: Permesso?
Per sentire Lahiri spiegare perché si dovrebbe apprendere una lingua, cliccate qui.
Per sentire Lahiri spiegare come apprendere una lingua nuova trasforma l'identità, cliccate qui.
Per sentire Lahiri spiegare come apprendere una lingua nuova cambia la comprensione di noi stessi, cliccate qui.
Per sentire Lahiri spiegare come apprendere una lingua nuova cambia la comprensione del mondo, cliccate qui.
Rispondete a queste domande:
In questo brano, l’autrice usa il tempo presente per descrivere e narrare eventi svolti nel passato. Perché fa così, secondo voi? Quale effetto ha quest’uso particolare del presente?
Qual è il soggetto dei verbi “ascolto”, “trascorro” e “sento”? Come si sa?
Qual è il soggetto dei verbi “decidiamo”, “scegliamo” e “arriviamo” nel primo paragrafo? Come si sa?
“Faccio”, “sono”, “riesco”, “devo”, “so”, ed “è” sono forme di quali verbi?
In questo brano, l’autrice descrive il suo primo incontro con la lingua italiana e l’effetto che ha avuto su di lei. In circa 75 parole, descrivete (al presente) i vostri sentimenti per la lingua italiana e/o l’effetto che ha su di voi.
In genere, il presente indicativo indica un’azione, un fatto o un modo di essere che si svolge contemporaneamente al momento in cui si parla.
Faccio una passeggiata.
Manuele parla con Giovanna.
Per questo, il presente indicativo è spesso usato per narrare e descrivere nel presente. In altri casi, però, può esprimere l’abitudine e la regolarità di un’azione:
Ogni mercoledì, Andrea va al mercato per comprare le verdure.
Vediamo lo zio tutti i giorni.
In altri casi, può indicare una capacità che qualcuno ha che è in grado di esercitare quando serve e non per forza che stia esercitando nel momento stesso:
Marta parla lo spagnolo, il tedesco e l’inglese.
Bianca suona il pianoforte e la chitarra.
In altri casi ancora, il presente può avere un senso del futuro, un’azione che avverrà senza dubbio.
L’anno prossimo i genitori vanno in Italia per le vacanze.
Questo weekend faccio una gita in montagna con gli amici.
Un altro uso del presente indicativo è quello del cosiddetto “presente storico” dove si usa il presente per fare più immediate azioni svolte nel passato o, in altre parole, per avvicinare eventi del passato al presente. Per chi farà un corso avanzato in cui si analizza la letteratura, si userà il presente storico.
In Matteo 5:3, Gesù insegna che il regno dei cieli è per coloro che si umiliano.
Ne La divina commedia, quando Dante si trova nella selva oscura, prova paura.
Come si vede, nonostante l’uso principale dell’indicativo presente sia quello di riferire al momento in cui si parla, può essere usato per indicare eventi in tutti i tempi (passato, presente, e futuro). In questo capitolo, ci concentreremo sulla forma del presente più che i suoi usi, esaminando sia verbi regolari sia verbi irregolari.
I verbi in italiano sono divisi in tre categorie o coniugazioni: la prima coniugazione (I) è composta dai verbi che terminano in -are; la seconda (II) dai verbi -ere (e, come si vedrà più tardi nel capitolo, -arre, -orre, e -urre); la terza (III) dai verbi -ire. Con poche eccezioni, sia i verbi regolari che irregolari seguono gli schemi identificati in questa sezione, nel senso che le sequenze finali delle forme sono consistenti (cioè la forma per “io” termina in “-o”, quella per “tu” in “-i”, ecc.). In altre parole, se un verbo è irregolare, lo si considera così perché—nella maggior parte dei casi—la radice, o la parte del verbo che ha il significato, cambia in qualche maniera.
Ecco le forme della prima coniugazione:
parlare
io parl-o
noi parl-iamo
tu parl-i
voi parl-ate
lui/lei/Lei parl-a
loro parl-ano
Altri verbi regolari (al presente) comuni della prima coniugazione: chiamare, cenare, suonare, mangiare (*tu mangi), guidare, abitare, comprare
La prima coniugazione contiene, per la maggior parte, il numero più grande di verbi regolari. Alcuni verbi, come cercare, dimenticare, giocare, pagare e mangiare subiscono piccoli cambiamenti grafici nelle coniugazioni, spesso—ma non sempre—per mantenere il suono originale dell’infinito. Nel caso di mangiare, ad esempio, si nota che nella forma per la seconda persona singolare “tu” non si aggiunge una “i”.
soggetto
cercare
dimenticare
giocare
pagare
mangiare
io
cerco
dimentico
gioco
pago
mangio
tu
cerchi
dimentichi
giochi
paghi
mangi
lui/lei/Lei
cerca
dimentica
gioca
paga
mangia
noi
cerchiamo
dimentichiamo
giochiamo
paghiamo
mangiamo
voi
cercate
dimenticate
giocate
pagate
mangiate
loro
cercano
dimenticano
giocano
pagano
mangiano
Nonostante la regolarità di questa categoria, la prima coniugazione contiene alcuni dei verbi irregolari più frequenti: dare, fare, stare, e andare.
dare
fare
stare
andare
do
faccio
sto
vado
dai
fai
stai
vai
dà
fa
sta
va
diamo
facciamo
stiamo
andiamo
date
fate
state
andate
danno
fanno
stanno
vanno
Come si vede, questi quattro verbi hanno tante forme simili ed è per questo che sono spesso raggruppati insieme. In più, si nota che, oltre alla forma per la terza persona plurale “loro”, le forme seguono lo schema normale.
Tipicamente, quando un nuovo verbo entra la lingua, sarà quasi sempre un verbo -are, come, ad esempio:
googlare (cercare su Google), chattare, twittare (mandare un tweet), scrollare (come quello che si fa su Instagram), friendzonare, trollare, downloadare, sharare (condividere), ecc.
Ecco le forme dei verbi regolari della seconda coniugazione:
prendere
io prend-o
noi prend-iamo
tu prend-i
voi prend-ete
lui/lei/Lei prend-e
loro prend-ono
Altri verbi regolari (al presente) comuni della seconda coniugazione: battere, chiedere, commettere, correre, credere, crescere, esistere, esprimere, leggere, mettere, scrivere, scendere
Questa coniugazione contiene un numero notevole di verbi irregolari. Forse quelli più frequenti sono avere e essere, i verbi modali (dovere, potere, e volere), e sapere, bere, e piacere.
Avere e essere
avere
essere
ho
sono
hai
sei
ha
è
abbiamo
siamo
avete
siete
hanno
I verbi modali
dovere
potere
volere
devo
posso
voglio
devi
puoi
vuoi
deve
può
vuole
dobbiamo
possiamo
vogliamo
dovete
potete
volete
devono
possono
vogliono
Come menzionato sopra, e come si può vedere da questa tabella, per la maggior parte, il cambiamento subito dal verbo per il quale si considera certi verbi come “irregolari” succede soprattutto nella radice e non nella parte che viene coniugata (detta la desinenza, evidenziata in neretto nella tabella).
sapere, bere, piacere
sapere
bere
piacere
so
bevo
piaccio
sai
bevi
piaci
sa
beve
piace
sappiamo
beviamo
piacciamo
sapete
bevete
piacete
sanno
bevono
piacciono
NB: le forme più usate del verbo "piacere" sono quelle per la terza persona, cioè "piace" e "piacciono". Questo è a causa del fatto che il significato del verbo è "dare piacere a":
Le altre forme appaiono in contesti specifici, spesso con i rapporti romantici:
La seconda coniugazione ha di gran lunga il maggior numero di verbi irregolari. Aggiungiamo qui solo tre altri tra i più comuni: rimanere, spegnere, e tenere. Se non si è sicuri se un verbo sia regolare o no al presente, si può riferire alla sezione per la coniugazione su Reverso per aiutarvi.
rimanere
spegnere
tenere
rimango
spengo
tengo
rimani
spegni
tieni
rimane
spegne
tiene
rimaniamo
spegniamo
teniamo
rimanete
spegnete
tenete
rimangono
spengono
tengono
La terza coniugazione si distingue dalle altre in quanto ha, tecnicamente, due possibili modelli: uno “normale” e uno per i verbi che richiedono l’aggiunta dell’interfisso “-isc-“ tra la radice e la desinenza. Ecco le forme per tutt’ e due modelli:
sentIre
io sent-o
noi sent-iamo
tu sent-i
voi sent-ite
lui/lei/Lei sent-e
loro sent-ono
Altri verbi regolari (al presente) comuni della terza coniugazione: aprire, dormire, offrire, partire, seguire, sentire, soffrire
finire
io fin-isc-o
noi fin-iamo
tu fin-isc-i
voi fin-ite
lui/lei/Lei fin-isc-e
loro fin-isc-ono
Altri verbi comuni della terza coniugazione che aggiungono l’interfisso: capire, colpire, contribuire, dimagrire, fallire, garantire, impedire, obbedire, preferire, proibire, pulire, restituire
Come si vede, l’aggiunta dell’interfisso “-isc-“ si applica solo con le forme singolari e con la forma per la terza persona plurale “loro”. Si osserva pure che lo schema è consistente, nonostante l’aggiunta dell’interfisso e perciò, per i nostri scopi, possiamo considerare questo gruppo di verbi ancora regolari.
NB: Per chi sa bene la lingua, sa che la maggior parte dei verbi -ire attualmente segue il secondo modello sopra. Quindi, veramente si dovrebbe considerare l’aggiunta dell’interfisso “-isc-“ il modello “normale”, e l’altro quello “eccezionale”.
Un piccolo gruppo di verbi -ire, come applaudire, mentire, assorbire, tossire e nutrire ammette sia la forma con l’interfisso, sia quella senza:
io mento / mentisco
tu inghiotti / inghiottisci
lui nutre / nutrisce
Tra i verbi della terza coniugazione, si trovano diversi irregolari; qui menzioniamo solo cinque dei più comuni: dire, morire, salire, uscire, e venire.
dire
morire
salire
uscire
venire
dico
muoio
salgo
esco
vengo
dici
muori
sali
esci
vieni
dice
muore
sale
esce
viene
diciamo
moriamo
saliamo
usciamo
veniamo
dite
morite
salite
uscite
venite
dicono
muoiono
salgono
escono
vengono
Completate le frasi seguenti con la forma corretta del verbo indicato tra parentesi al presente indicativo.
ESEMPIO: Se tu non __________ (seguire) tutte le regole alla lettera, ti perseguiterò. > Se non *segui* tutte le regole alla lettera, ti perseguiterò.
Completate le frasi seguenti con la forma corretta del verbo indicato tra parentesi al presente indicativo. Attenzione alla forma!
ESEMPIO: Tu rimani qui mentre io __________ (raccogliere) dei fiori per la mamma. > Tu rimani qui mentre io *raccolgo* dei fiori per la mamma.
Completate le frasi seguenti con la forma corretta del verbo indicato tra parentesi al presente indicativo. Attenzione alla forma: ci sono verbi regolari, irregolari, e verbi che adoperano l’interfisso -isc-!
ESEMPIO: Spesso i cani abbaiano quando __________ (percepire) una minaccia. > Spesso i cani abbaiano quando *percepiscono* una minaccia.
Esiste un gruppo particolare di verbi che non si assomiglia alla maggioranza degli altri verbi italiani, ma che rimane ancora importante. Anche se sembrano diversi dai verbi della prima, seconda, e terza coniugazione in quanto terminano in maniera non simile, verbi come trarre, porre, e produrre fanno parte della seconda coniugazione perché seguono lo stesso schema. Inoltre, le radici dei verbi di questa categoria si trasformano nella stessa maniera quindi se si sa la coniugazione per un verbo, la si sa per tutti.
trarre
porre
produrre
prend-o
tragg-o
pong-o
produc-o
prend-i
tra-i
pon-i
produc-i
prend-e
tra-e
pon-e
produc-e
prend-iamo
tra-iamo
pon-iamo
produc-iamo
prend-ete
tra-ete
pon-ete
produc-ete
prend-ono
tragg-ono
pong-ono
produc-ono
Altri verbi come trarre: attrarre, contrarre, distrarre, estrarre, ritrarre, sottrarre
Altri verbi come porre: comporre, contrapporre, decomporre, disporre, esporre, imporre, indisporre, opporre, preporre, proporre, scomporre, trasporre
Altri verbi come produrre: condurre, dedurre, introdurre, ricondurre, ridurre, riprodurre, sedurre
ESEMPIO: Tu __________ (comporre) un’illusione di te stesso mentre vai avanti. > Tu *componi* un’illusione di te stesso mentre vai avanti.
Completate il seguente paragrafo con le forme appropriate dei verbi indicati tra parentesi al presente indicativo.
ESEMPIO: Mentre __________ (camminare, io) per strada, agenti di polizia __________ (perquisire) l’area circostante. > Mentre *cammino* per strada, agenti di polizia *perquisiscono* l’area circostante.
Mentre (giocare, noi) nella tranquillità del parco, (osservare) come le persone che lo frequentano (comporre) una variegata gamma di personalità. Alcuni (bere) il loro caffè mattutino al bar nel mezzo mentre altri (preferire) semplicemente passeggiare. Un artista locale che (riconoscere, noi) da lontano (asserire) di trovare ispirazione in questi luoghi. (fare, noi) due passi insieme, chiacchierando fino a quando ci imbattiamo in un gruppo di bambini che (produrre) allegramente un bel disegno con gessetti colorati. Inoltre, notiamo molti cani che (andare) avanti e indietro, portati a spasso dai loro padroni. Una giovane musicista (uscire) da una folla dove faceva il busking e ci parla della sua passione per il violino e come (volere) condividere la sua musica con le masse. Nel frattempo, un signore anziano seduto accanto a noi (intervenire) nella conversazione, condividendo aneddoti del passato. Tutte queste persone (avere) storie uniche e (mantenere) viva l'atmosfera del parco, mentre il sole caldo (detrarre) lentamente l'energia dalle nostre riserve. Dopo una lunga e stancante passeggiata, (spiegare, noi) ai nostri nuovi amici che (dovere) scappare, ma ci fermiamo ancora un attimo per guardare le rondini che (volare) sopra di noi, testimoni silenziosi delle molte storie che si intrecciano in questo luogo affascinante.
(Questo testo è stato generato da ChatGPT e modificato da Prof. Paul.)